Franco Casalini, sapienza tecnica, grande cultura e intelligenza nella stessa persona

Franco Casalini ha lasciato il segno nell’Italia cestistica. Alla sapienza tecnica ha unito l’eleganza e la pacatezza di chi sa insegnare senza mai alzare la voce. Arrivato giovanissimo alla corte di Cesare Rubini per allenare le giovanili dell’allora Simmenthal Milano, avrebbe contribuito negli anni '80 ai grandi successi della società fino ad arrivare, da capo allenatore, ad un incredibile triplete. Pacato e rispettoso di tutti, tutti gli riconoscevano grande intelligenza e cultura, non solo cestistica.

L’arrivo alla corte di Rubini

Giovane allenatore della SocialOsa, arriva all’Olimpia Milano nel 1977. “Fui io a portarlo - esordisce il fratello Paolo – Allora allenavo le giovanili del Simmenthal, Cesare Rubini mi chiese se conoscessi qualche allenatore giovane per integrare lo staff tecnico” Non tardò a fare bene, con cadetti e juniores vinse quattro titoli nazionali. E si trovò in un attimo sulla panchina della Prima Squadra, come assistente di Dan Peterson.

Uomo d’ordine e organizzazione, cresceva campioni

Nei tanti anni trascorsi insieme all’Olimpia Milano - ricorda il coach di Evanston - è stato un aiuto formidabile. Dava ordine ed organizzazione all’allenamento, oltre ad essere un grandissimo insegnante. Ha cresciuto giovani fino a farli diventare campioni, come Franco e Dino Boselli, Vittorio Ferracini e Vittorio Gallinari” Giocatori che avrebbero costituito la mitica Banda Bassotti.

Conoscitore della pallacanestro, dava libertà al talento

Grande conoscitore della pallacanestro, aveva innata la dote dell’insegnamento. “Senza darti consigli specifici, ti insegnava a giocare – conferma Riccardo Pittis, anch’egli cresciuto nelle giovanili della società milanese - Ti lasciava fare, fermo poi intervenire per eventuali correzioni. E ha sempre dato grande libertà al talento, a me ha dato subito tanta fiducia nonostante la mia giovane età"

Mai fuori luogo, senza alzare la voce

Capacità riconosciutagli da un altro grande ex. “E’ stato l’allenatore di club che mi ha allenato di più - commenta Dino Meneghin - Mai fuori luogo, durante gli allenamenti non ha mai alzato la voce. Sapeva rendere comprensibili le cose difficili, con frasi chiare e breviSempre pacato, in campo e fuori. “Vai tranquillo e gioca, mi diceva. Poche parole per farmi capire quando andavo fuori dal tracciato”

Assistente allenatore di Dan Peterson, ruolo interpretato al meglio

A seguirlo dagli spalti, il fratello Paolo. “Viveva intensamente ogni partita, ma non faceva trasparire niente. Interpretava al meglio il suo ruolo di assistente allenatoreUn giudizio che non può non trovare concorde Dan Peterson. “A parte Rubini con Gamba che hanno fatto insieme otto anni, non so quanti allenatori hanno avuto lo stesso vice per così tanto tempo. Sempre leale, per me è stato il miglior vice allenatore d’Italia

In panchina, una presenza sempre affidabile

Una simbiosi perfetta, quella tra Franco Casalini e Dan Peterson. Così perfetta, da non far avvertire la mancanza del coach statunitense quando questi non era in panchina per squalifica. In nove anni, tra squalifiche ed espulsioni non sono stato in panchina 24 volte, di quelle 24 partite Franco ne ha vinte 23! Anche con rimonte incredibili, come quella Olimpia-Cantù, stagione 81-82, vinta di un canestro dopo che Cantù era sempre stata sopra in doppia cifra”

Grande sapienza tecnica, sapeva dare i fondamentali

Si integravano con naturalezza, l’uno mental coach, l’altro allenatore puro. “Peterson dava carisma e personalità – spiega Riccardo Pittis – Franco Casalini, di contro, aveva tutta quella sapienza tecnica assolutamente necessaria affinché la squadra giocasse beneCome rimarca anche Toni Cappellari.“Franco dava i fondamentali precisa l'ex direttore sportivo della società - Mentre Dan dava ai giocatori la maniera di stare in campo. Franco era veramente importante dal punto di vista tecnico, da capo allenatore avrebbe fatto cose importanti"

Difesa pivot, invenzione tecnica salva stagione

Nella stagione 80-81 la squadra era priva di Kupec, Sylvester e Bonamico non più nella rosa mentre Dino Boselli era afflitto da infortunio - precisa Dan Peterson - Dovevamo puntare su una difesa solida e pochi possessi in attacco, per risparmiare le gambe. Franco inventò la difesa pivot, una difesa a uomo basata sui raddoppi sul portatore di palla, sugli scambi tra due giocatori e sulla palla all'angolo. Ci salvò la stagione, facemmo molto di più di quanto fosse nelle nostre potenzialità

Trasferte, memorabili le sue partite a carte in pullmann

Risultati che erano il frutto di un rapporto quotidiano e costante. “Condividevamo tutto – dichiara Dan Peterson - Dagli allenamenti in palestra alla tensione durante le partite, dalla presenza in ufficio alle trasferte in pullmann” Trasferte che avevano anche un simpatico siparietto. Dino Meneghin e i non fumatori seduti davanti, Franco Casalini e Mike D’Antoni, negli ultimi posti, a giocare a carte. “Era un incallito giocatore di tresette – ricorda Dino Meneghin - Capace di giocare a carte per l’intera durata del viaggio in pullman, smetteva solo quando eravamo arrivati a destinazione

Ironico e intelligente, sapeva alleggerire la tensione

Era un modo, il suo, per alleggerire la tensione. Intelligenza ed ironia sono state le linee guida di una intera carriera. “I miei rapporti con Franco hanno avuto un decorso temporale lunghissimo, con tantissime declinazioni - commenta Riccardo Pittis - Da quando, bambino, seguivo le partite di mio fratello nelle giovanili dell’Olimpia a quando ci siamo trovati colleghi a Sky, Ne ho sempre apprezzato la straordinaria intelligenza e un senso dell’umorismo incredibile

Il gruppo, davanti a tutto

Erano altri tempi, quelle trasferte contribuivano anche a creare un vincolo umano che andava oltre lo sport. "Si era gruppo, sempre e comunque - sottolinea con forza Pippo Faina, ex coach di Olimpia Milano - Anche quando i raggiunti limiti di età di alcuni giocatori avrebbero consigliato di apportare alcune modifiche alle caratteristiche degli stessi, Franco decise di non smembrare la squadra. E portò a conclusione naturale un ciclo meraviglioso, che lo avrebbe visto protagonista anche da capo allenatore"

Sul campo solo basket, fuori dal campo anche altro

A condividere una lunghissima amicizia con Franco Casalini, Mario Zaninelli. Co-autore del volume "100 anni di basket in Lombardia", ha voluto ricordare l’amico nell’omelia durante la cerimonia funebre. “L’ho conosciuto come allenatore, quando giocavo nelle giovanili dell’Olimpia Milano. Ma è diventato presto un amico fraterno, della amicizia sua e della sua famiglia faccio un vanto personale. Mi porto nel cuore il ricordo indelebile di una persona dalla immensa cultura" Una cultura che gli consentiva di vivere di altre cose, oltre il basket. “Lontano dal campo – ribadisce Paolo Casalini – non parlava mai di basket"

Esemplari le sue risposte, uno stile apprezzato da tutti

Ciò non toglie che niente era lasciato al caso. Dedizione, passione e professionalità hanno fatto di Franco Casalini un allenatore apprezzato anche dai colleghi allenatori Bogdan Tanjevic dichiara Dino Meneghin – lo ha sempre ritenuto un gran signore, ne studiava il modo di stare in panchina. Sempre esemplare, come esemplare è sempre stato il suo modo di porsi nei confronti di tutti e di rispondere alle domande di tutti

Disciplina societaria, il suo marchio di fabbrica

Esemplare anche il suo comportamento, quando Dan Peterson lasciò la panchina della società meneghina per dedicarsi ad altri percorsi, tra giornalismo, televisione e coaching. Dopo tanti anni e successi condivisi, qualsiasi allenatore avrebbe considerato naturale ereditare la panchina della squadra. Per lui era una cosa diversa. “In realtà – conclude il fratello Paolo – non nutriva aspettative precise. Si considerava un allenatore della società, si fidava di qualunque cosa avrebbero deciso. La disciplina societaria era il suo marchio di fabbrica"

Foto per gentile concessione di Paolo Casalini